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  • Editoriale



    di
    Alessandro Vaccarone


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    Silvia Infranco


    Silvia Infranco è nata a Belluno nel 1982 e oggi vive a Bologna dove ha studiato.
    Ha occhi attenti e curiosi, una figura esile, elegante, il sorriso che si apre alle mie impressioni sulla sua arte, sui colori usati, sulla materia su cui dipinge.
    Un volto che sembra uscito da un quadro di Botticelli, semplice e dolce, determinata come l’acciaio, uno scambio d’idee fertile e fresco come l’acqua di primavera.


    Silvia ha studiato legge per vivere, ma l’arte è il suo destino ne siamo certi. Nel centro di Bologna abbiamo appuntamento, io e il fotografo Walter, nel suo studio di giovane artista.

    Il suo laboratorio è una grande fucina di immagini racchiusa in un piccolo scrigno dove produce opere su tela e su cartone, scegliendo il formato secondo i sentimenti da mettere in scena.
    Variano forme e colore col mutare dell’animo. La sua visione del mondo è un mix di ricordi dell’infanzia e aspirazioni future, ricordi e aspirazioni filtrati dalla volontà di inventarsi una poetica visuale esclusiva.

    Un’anta di armadio raccolta per strada diventa l’universo da colorare, dove depositare i sentimenti nascosti per fare emergere, con il colore, il ricordo delle esperienze vissute, delineando però un chiaro programma poetico per il futuro.

    Il linguaggio di oggi tende all’informale e all’astratto, con inserzioni di lettere e parole, senza dimenticare le precedenti esperienze figurative, anche recenti, e senza tradire la grande abilità grafica che appare allo stesso tempo innata e coltivata, profonda e fortunatamente ingenua.

    Il supporto preferito è il cartone, anche quello trovato come rifiuto (rifiutato) della nostra società che impacchetta, imballa ogni cosa e poi getta via.
    Silvia ne fa schermo leggero dei propri occhi, ma lo rende protagonista della stesura dei colori, lo fa partecipe della definizione di linee che scandiscono e delimitano lo spazio.
    Spesso le rughe ondulate del cartone sono stampi da usare per stendere colori in intervalli ritmati, oppure affiorano in superficie per lo strappo del primo strato, come un accenno di scultura e la ricerca della dimensione profonda dell’essere e del fare.
    E pezzi e cenni di film plastici trovati nei materiali da imballaggio (come found objects) si trasformano in impalpabili fiocchi di neve (Il niege).
    Presto le immagini di Silvia Infranco usciranno, per vocazione annunciata, dalla superficie dei suoi quadri per farsi scultura.

    Oggi, la ricerca visuale dell’artista si sostanzia con l’affinamento culturale cercato nella rilettura delle tragedie greche, guida certa per lo scavo dell’inconscio, che non tralascia l’intento di una rappresentazione teatrale dei sentimenti.
    Così, il quadro Antigone è steso con il bianco e il nero, con un’apparizione di rosa e arancio a dividere in verticale i grigi del fondo.
    In Orfeo irrompe il blu, deciso a sovrastare la divisione in spazi regolari di grigio, bianco e nero, richiamo.
    Zenobia è rosso-marrone che gronda e cola ribellione oppure è fatta di lame di ghiaccio e grigio, mentre in Babel il contrasto tra colori si fa deciso e qui le onde del cartone di fanno più prepotenti a dare ordine.
    Onde di carta e onde dei ricordi da ritrovare, come in Amarcord e in Memoria di lanterne rosse.
    Con la sua produzione artistica, Silvia Infranco sta disegnando il proprio libro privato, nel quale rielabora immagini del proprio vissuto e impiega materiali spesso trovati e riusati, con l’intento di una grandiosa rappresentazione teatrale della parte nascosta dei sentimenti che la ragione tenta di camuffare ma che la spinta del cuore rende inarrestabili.
    Le pagine più intime dei sui sentimenti stanno prendendo corpo come un vero e proprio libro d’artista, un omaggio al ricordo del padre, che con molta attenzione aspettiamo di vedere finito.

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